Quasi un miliardo di utenti Facebook, mezzo miliardo su Twitter, quasi duecento milioni su Linkedin e trecento su Pinterest. Sembrano numeri da primato per luoghi abitati della rete ancora giovani in termini di età anagrafica. Ma se si scava nella abbondante letteratura disponibile si scopre che i dati vanno interpretati e dopo averlo fatto, tutto non è più come prima. Non lo è da un punto di vista sociale (consumer) e non lo è a maggior ragione da quello aziendale. La realtà raccontata descrive mondi virtuali sovraffollati e partecipati, la realtà racconta di una partecipazione in calo e di una disaffezione o dinamicità elevata. Questa realtà penalizza chiaramente i fornitori delle applicazioni di social networking ( vedi la difficoltà dell’IPO di Facebook ) ma anche le aziende che hanno puntato o stanno puntando sui social media come strumenti innovativi di marketing e comunicazione.
A dimostrazione dell’importanza della realtà dei fatti, è sufficiente osservare quanto sta accadendo a Twitter, come emerge dalle rilevazioni di alcuni analisti sull’uso dei cinguettii e sulla loro rilevanza a scopi marketing e di business. In base ai dati di mercato gli utenti registrati di Twitter sono 500 milioni. Misurare che tipo di utilizzo facciano del social network questi utenti non è semplice perché la frequenza con cui vengono utilizzati i vari social network disponibili è un dato fluttuante e non riconducibile ad alcuna logica o comportamento razionale, se non la necessità di soddisfare un bisogno di socialità urgente. Senza contare che l’utente che cinguetta non sempre è un umano ma un ‘account virtuale e dalle personalità molteplici’ che cinguetta in automatico e in modo ripetitivo.
Twitter è sempre stata molto attenta a comunicare i numeri degli utenti del suo social network. Quando ne parla, il riferimento è sempre agli utenti attivi. E qui emerge l’informazione interessante. Se sono reali i 500 milioni utenti rilevati dagli analisti, secondo Twitter gli utenti attivi a marzo 2012 sono 140 milioni. Una bella discrepanza tra le due quantità che portano a sottolineare l’esistenza di un numero molto elevato di utenti inattivi o farlocchi perché associati ad account non associabili ad una persona umana ma semplici motori e supporto per l’invio di migliaia di cinguettii.
Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, parlando dei 955 milioni di utenti del suo social network, ha stimato in 83 milioni quelli fasulli. Il 4.8% degli utenti complessivi è composto da profili duplicati, il 2,4% di profili classificati in modo inadeguato o pagine create per conto di un’azienda, di organizzazioni e anche di animali. Sono infine l’1,5% gli account indesiderabili ( ad esempio profili zombie di fanciulle bionde, sui venti anni che amano il cricket e i video sui matrimoni arabi ed hanno nomi evocativi come Mandy Barnes, Jasmine Wilson, May Price) perché falsi e creati per veicolare spam sulla rete. Numeri interessanti che dovrebbero portare le società, che veicolano i propri messaggi promozionali su Facebook, a rivedere i loro conteggi e le loro misurazioni in termini di risultati ottenuti.
Questa realtà richiede alle aziende maggiore attenzione e una attenta valutazione dell’accuratezza dei numeri forniti, sia in termini di utenza che di trend, gusti individuali e comportamenti. La presenza di profili fasulli ( per alcuni sono il 50%) e inattivi ( per alcuni sono due terzi) significa minori informazioni che possono essere usate a scopi marketing e promozionali e minori possibilità per gli uffici marketing delle aziende di costruire campagne di successo. Una conferma della difficoltà nell’interpretare la realtà sociale dei social network viene da una analisi svolta da Kevin Kelly, l’editore della rivista Wired, sui 560,000 utenti che hanno incluso il suo profilo in circoli Google+. Secondo Kelly la maggioranza (70%) dei profili sono semplici numeri, icone vuote (senza immagine) e inattive (nessun post). Kelly fa riferimento anche ad una ricerca condotta da due giornalisti di Popular Mechanics che ha evidenziato come solo il 25% dei loro amici Twitter sono reali, il 49% sono fasulli o spam.
Questi numeri sono strettamente collegati, secondo alcuni, anche al diffondersi di campagne marketing che puntano ad avere un elevato numero di Likes sulla propria pagina o iniziativa con l’obiettivo di mostrare il successo del proprio brand. Ciò ha dato vita a nuovi servizi finalizzati alla produzione ‘industriale’ di Likes e di contatti ma ha anche inflazionato e reso inattendibile la maggior parte dei risultati. Il trend non sembra interrompersi e porta a chiedersi quale siano le ragioni di una cessione di fiducia così totale alle società di social networking. Loro sanno certamente quali sono i profili reali e quanti quelli attivi e potrebbero aiutare le aziende a costruire campagne reali con risultati altrettanto misurabili. La mancanza di trasparenza non aiuta mentre la disponibilità di dati accurati è sempre più essenziale per il business e per il successo dei social media stessi.
Senza questa trasparenza, in base ai numeri sopra riportati, è facile concludere che il 50% del budget speso dalle aziende sui social media è praticamente buttato al vento, nel tentativo di raggiungere profili non associati ad alcun utente o consumatore reale.
Non piccolo come problema.