Ritorno sul tema della sindrome da nanismo dilagante fra Amministratori Delegati e altri manager con ruoli chiave presso multinazionali, e in modo particolare al vertice delle loro filiali. Stavolta però mi concentrerò su aspetti di relazione e, da un certo punto di vista, anche di buona educazione.
Ogni incontro di business, ancora di più se collocato a livello Executive, ha delle sue regole e un suo specifico “bon ton”. Almeno…dovrebbe! Soprattutto dovrebbe essere orientato alla massima efficacia. Peccato che troppo spesso oggi si incappi in spiacevoli meeting “dagli occhi bassi”.
Se avete letto il mio precedente articolo vi sarete fatti un’idea, sulla base della vostra esperienza, di quanti e quali personaggi di quel tipo avete avuto modo di incontrare o conoscere. Vi chiedo di focalizzare la vostra attenzione sui possibili incontri avuti con tali soggetti e vi dimostrerò come, nella maggior parte dei casi, avrete partecipato o assistito a meeting “dagli occhi bassi”.
Le situazioni in questione sono tipicamente quelle di convegni o incontri dove i nostri soggetti partecipano assieme ad altri relatori. Non è detto che siano solo convegni: talvolta si tratta di riunioni della loro azienda aperte però a tutta una serie di attori esterni (fornitori, terze parti, altri partner).
Se osserviamo con attenzione quanto accade potremo verificare quanto segue. Smarcate le formalità di rito i vari attori dell’incontro prenderanno posto in una sala riunioni. I soggetti della nostra indagine, quelli affetti da sindrome di nanismo, saranno molto attenti nel collocare con cura davanti al proprio posto le loro protesi telematiche: smartphone e tablet. L’incontro avrà inizio e i vari punti di discussione cominceranno a essere affrontati.
Qui viene appunto il bello, anzi il brutto della faccenda, trattandosi di incontri di presenza e non mediati tramite collegamenti remoti. Il problema è proprio legato all’effettivo livello di attenzione e coinvolgimento mostrato dai nostri interlocutori. Noteremo come siano sempre con gli occhi bassi, attenti a osservare quanto appare sulle loro protesi informatiche. Presi come sono nelle ragnatele di matrici organizzative complesse e soffocanti i tapini tendono infatti a mostrare più attenzione ai vari messaggi loro indirizzati piuttosto che ai contenuti discussi. Osservandoli con attenzione potremo anche capire dalle loro espressioni e dalle modalità di risposta più o meno sollecite quali possano essere gli input provenienti dai loro capi, diretti o indiretti, e il relativo livello di urgenza.
È corretto tutto questo? Quanto è accettabile un simile comportamento? Siamo di fronte a una forma di maleducazione imperante o forse a interlocutori soffocati e sovrastati dalle loro intricate e avvelenate organizzazioni? Sono forse gli argomenti discussi a creare un così basso livello di interesse?
Quest’ultima ipotesi è la prima da scartare. Nell’economia attuale dei meeting, dove purtroppo quasi tutto viene ormai virtualizzato, tenere incontri di presenza significa dedicare tempo e spazio a temi importanti. Altrimenti quel meeting non sarebbe neppure da farsi.
La diagnosi reale è una combinazione dei primi due fattori: un irritante mix fra una certa spocchia per il ruolo e, dall’altra parte, la consapevolezza di essere solo una pedina all’interno di workflow decisionali sovrastanti.
Di certo in qualsiasi soggetto interessato ai contenuti e ai risultati di tali incontri, un simile comportamento non può che generare fastidio e insoddisfazione.
Provate a immaginarvi nell’atto di sostenere la vostra posizione o idea interloquendo con un personaggio chiave totalmente perso nei suoi sms o mail provenienti da fonti di ogni genere.
La mia esperienza sul tema, visto l’alto numero di soggetti affetti da tale sindrome che ho dovuto incontrare negli ultimi anni, mi ha portato ad atteggiamenti molto radicali. Li elenco per darvi qualche simpatica ricetta da applicare alla bisogna.
La prima regola è la tecnica del silenzio.
State presentando quanto di vostra competenza e l’interlocutore si “assenta” con gli occhi bassi al telefono o al tablet? Bene: zittitevi e restate in silenzio per il numero di secondi necessari a rendere tale situazione palese, quasi sgradevole. A quel punto il suo sguardo, levatosi per capire quanto accade, dovrà incontrare il vostro deciso e determinato e totalmente rivolto a lui/lei. Funziona benissimo!
Chiaramente la tecnica si può anche reiterare. Per esperienza personale posso affermare come al secondo silenzio di fila il personaggio in questione cessi ogni interesse verso le comunicazioni esterne e torni a essere parte attiva e partecipe del meeting.
La seconda è un po’ più cattivella e presuppone che vi sia, di fondo, una scarsa simpatia verso quella persona. Si tratta della domanda diretta. Nel mezzo del vostro discorso dovrete inserire una domanda diretta, ovviamente coerente col tema sviluppato, rivolta in modo esplicito al vostro interlocutore.
La definisco una tecnica bastarda perché nella maggioranza dei casi il poveretto cadrà dal classico pero mostrando anche un certo qual imbarazzo. Di certo da quel momento smetterà qualsiasi atteggiamento da “occhi bassi”.
Comunque sia, resta il disagio e il disappunto di dover convivere con simili situazioni, anche queste un reflusso della “sindrome da nanismo” così pervasiva negli ambienti delle multinazionali. Con un po’ di rimpianto ripenso a quei meeting incisivi nei quali tutti si era concentrati sull’argomento e dai quali si usciva con risultati e piani di azione fattivi. Bei tempi andati…
Importante però è averli vissuti direttamente e avere voglia di raccontarli per trasmettere qualcosa in grado di far aprire gli occhi alle prossime generazioni e aiutarle ad agire in modo più efficace. Almeno ci si prova.