Dopo anni di riflessioni sulla società liquida e post-moderna, la crisi in atto ci riporta a una realtà che non si lascia svaporare in reality

Il flop pre-annunciato di Facebook in borsa ha replicato esperienze e situazioni già vissute negli anni ’90 con il crollo della New Economy ma anche, in anni più recenti, con fenomeni come SecondLife, e sembra perfetto per rifocalizzare l’attenzione dei media ma soprattutto degli investitori e delle aziende, sul social networking e il suo reale valore per il business.

 

Mentre non si placano le polemiche sul collocamento di Facebook al Nasdaq di New York e già si preannunciano Class Actions e azioni legali di alcuni azionisti inferociti perché si sentono traditi e delusi, è forse più interessante tentare una riflessione su come il social networking è stato raccontato e vissuto in questi anni. Riflessione tanto più importante e urgente quanto più diventa ampia la fascia di età delle popolazioni coinvolte. Non solo giovani dai 18 ai 24 anni ma molte persone decisamente adulte, nella classe di età 45-55.

 

Dall’affermarsi dei primi social network, come Linkedin si è scritto di tutto, spesso in modo elogiativo e acritico, per non dire superficiale. Tutto ciò ha contribuito a creare il fenomeno ma anche a nascondere una realtà fatta di molte false credenze e miti che andrebbero sfatati. Una demitizzazione servirebbe anche a ridare fiducia a quegli azionisti che su Facebook in questi giorni hanno puntato, al di fuori della rete e con soldi reali.


Per molti l’IPO sembrava cosa necessaria perché, nell’opinione comune, tutti amano Facebook. La realtà ha dimostrato la fallacia di questa credenza e dato ragione a quanti hanno messo in guardia contro investimenti a pioggia su un fenomeno troppo raccontato, sovrastimato e basato su un futuro non chiaro.


La realtà che è emersa ha reso esplicito ciò che aveva già trovato una sua legittimazione condivisa in rete. Molti utenti di Facebook non amano Facebook preferendo ambienti sociali più verticali, specializzati e meno invasivi come Google+, dove i Circle sono una vera novità perché nessuno di noi vive in un’unica grande rete sociale. Facebook viene subito da molti come Windows anni fa: un sistema operativo necessario perché tutti ce l’hanno ma mai veramente amato.


Mentre si moltiplicano i libri che sottolineano il ruolo della collaborazione nell’evoluzione del genere umano e nel favorire creatività e innovazione, su Facebook falliscono in modo catastrofico molte applicazioni pensate per una condivisione automatica e allargata di azioni, preferenze e scelte individuali in termini di libri, brani musicali e articoli. Il fenomeno è facilmente spiegabile: a nessuno piace che tutto ciò che fa sia messo in vetrina, così come pochi ama no vedersi sommergere da informazioni su quanto i loro amici o contatti fanno in un luogo abitato della rete.


Benché la letteratura sull’uso dei social newtork in azienda sia vasta, è facile scoprire come la realtà evidenzi un uso limitato e soprattutto risultati deludenti in termini di business. La verità è semplice: non è possibile influenzare le persone di un social network se non si partecipa attivamente allo stesso ed è controproducente presenziare semplicemente con interventi promozionali che irritano e disturbano le conversazioni e le relazioni in corso. It’s how social works, stupid!


Detto questo, le tecnologie social non sono ovviamente destinate a sparire. Ad essere demoliti saranno invece molti miti e molte bugie che su di esse sono stati raccontati, da media sempre più uniformati, acritici e attenti alla realtà dei fatti ma anche da partecipanti disposti a cedere parte della loro reputazione e privacy in cambio di un’apparizione fugace in una pagina o in un cinguettio nella nuvola.


Come anni di realtà raccontata generano una schizofrenia che è in parte causa dei problemi economici, culturali e sociali che stiamo vivendo, così i social network “generici” alla Facebook rischiano di svuotarsi per rivelata incapacità a sostenere la socialità e la collaborazione reali, che contraddistinguono la vita delle persone nelle loro attività quotidiane.
Come direbbe Spinoza “non ci sono fatti, solo interpretazioni, e anche questa è una interpretazione”.