Quando si parla di smart cities può essere utile gettare uno sguardo alle situazioni più evolute a livello internazionale, dove ecologia e tecnologia si fondono in un’unica visione per offrire ai cittadini livelli superiori di benessere. Uno degli esempi più significativi di soluzioni innovative è Hammarby Sjöstad, un quartiere di Stoccolma suggestivo a partire dal nome stesso, che significa “città d’acqua”. D’acqua non solo perché la capitale svedese, quartiere avveniristico incluso, è bagnata dal Mar Baltico e dal lago Mälaren, ma soprattutto in quanto è dall’“oro blu” che la nuova cittadella trae le sue risorse energetiche. “Parliamo di centrali idroelettriche, certo, ma anche di biomasse, pannelli solari e idrogeno. Questo mix di fonti di energia è in grado di soddisfare le esigenze dei circa 20.000 abitanti del quartiere e di chi vi si reca ogni giorno per lavorare negli uffici”, spiega Erik Freudenthal, capo comunicazione del centro informativo per l’ambiente di Hammarby Sjöstad. Il progetto nasce a inizio anni ’90, quando Stoccolma decide di candidarsi per ospitare i Giochi Olimpici del 2004. L’ex area industriale a sud della città sembra il luogo giusto dove costruire il Villaggio Olimpico, e iniziano i lavori. Anche se le Olimpiadi non verranno assegnate alla Svezia, il quartiere resterà e su di esso la capitale scandinava costruisce la propria idea di fusione tra green e hi-tech, un nuovo modo di declinare la sintesi tra welfare state e tutela ambientale per cui la Scandinavia è sempre stata famosa. “I lavori di costruzione e sviluppo dovrebbero completarsi nel 2016, aggiunge Freudenthal, ed il risultato finale sarà un mix di antico e moderno. Le strade, la dimensione dei quartieri e altre caratteristiche urbane sono tipiche di una cittadina tradizionale, mentre l’attenzione ecologica rispecchia tratti più moderni”. Gli edifici sono costruiti in materiali “ecofriendly” a loro volta, e lo stesso sistema dei trasporti pubblici è quanto più possibile ecologico e “light” nell’impatto ambientale, con l’obiettivo di trasformare gli spostamenti di cittadini e lavoratori del quartiere in un” viaggio verde” coperto all’80% da trasporti efficienti o non inquinanti. L’eco-quartiere di Stoccolma naturalmente ospita anche scuole, strutture per l’healthcare, supermercati e negozi. “Abbiamo anche distributori per le macchine a idrogeno, e l’obiettivo delle nuove costruzioni è di ridurre l’impatto ecologico di ben il 50% rispetto all’inquinamento prodotto in un’area di Stoccolma a inizio anni ‘90”. Parte del fabbisogno energetico viene coperto da fonti rinnovabili (solare, eolico, idroelettrico), mentre al resto pensano gli abitanti stessi del quartiere, producendo rifiuti che vengono poi trattati per estrarne biogas ed energia. Lo Swedish Trade Council ha inoltre sviluppato un nuovo modello di città sostenibile, chiamato Symbiocity, basato proprio su Hammarby Sjöstad. Coinvolti nel progetto sono anche gli esperti di tecnologia “green” dello Stockholm Cleantech (in precedenza Stockholm Environmental Technology Center), un network di imprese che promuove hi-tech amica dell’ambiente. Di questo gruppo fa parte, tra gli altri soggetti, IVL (Swedish Environmental Research Institute), un istituto di ricerca indipendente e no-profit, gestito da una fondazione costituita congiuntamente dal Governo e dall’Industria svedese. “Le smart cities stanno diventando una realtà sempre più importante in tutto il mondo, spiega Hanna Lagerberg, Business Development & Marketing di IVL, e siamo orgogliosi di quanto stiamo realizzando in Svezia. Il nostro istituto si occupa dei vari aspetti della sostenibilità, dall’energia pulita alle biomasse, il tutto finalizzato allo sviluppo di modelli urbani alternativi. Stiamo attraendo capitali e risorse anche dall’estero, in particolare Cina e India, da dove giungono qui da noi diversi esperti per approfondire i nostri casi di successo. Il futuro sarà sempre più hi-tech e green. Le scelte in questa direzione ripagheranno gli investimenti iniziali”. Anche il “waterfront” di Stoccolma nell’ex area industriale a est della città sta subendo una profonda modernizzazione grazie al progetto “Stockholm Royal Seaport”, che promette di trasformare sempre più la capitale svedese in una città dal fascino antico ma proiettata nel futuro.
Ma non sempre puoi fidarti della tecnologia
L’efficienza e l’organizzazione dei paesi scandinavi sono leggendarie, ma nella Stoccolma di oggi alcuni miti andrebbero sfatati. Tra i vari aneddoti del mio viaggio in Svezia ne scelgo uno perché mi sembra il più incredibile e penso meriti di essere raccontato. Premessa: una settimana prima di partire, volo e hotel già confermati, contatto via email un servizio taxi di Stoccolma per il tragitto aeroporto-albergo e ritorno. Comunico al responsabile del taxi i dettagli di entrambi i voli, lui conferma e tutto è a posto. L’andata infatti fila tutto liscio come l’olio. Il ritorno invece…
La mattina della partenza il tempo è bello e l’aria frizzante. Il nostro taxista è l’ultimo della lunga fila di macchine in attesa fuori dell’albergo. Carichiamo le valigie e partiamo. Navigatore inserito e programmato con la giusta destinazione, l’aeroporto di Skavsta, più lontano di quello dell’andata ma ugualmente concordato col servizio taxi prima del viaggio. Circa un’ora di tragitto previsto. Niels (chiameremo così il nostro autista) guida tranquillo e sicuro. Intanto il tempo passa e anche il paesaggio fuori dal finestrino scorre via veloce. Un distributore di benzina sull’autostrada e una curiosa segnaletica per il pericolo attraversamento animali nordici come l’alce. Poi usciamo dall’autostrada. Dietrofront, si torna indietro. Non una parola da parte di Niels. Di nuovo lo stesso distributore di prima, ma strada inversa. Il tempo continua a passare. Non si vedono ancora segnali di aeroporto nelle vicinanze. Altra inversione di marcia. Stesso distributore. Terza volta. Usciamo di nuovo dall’autostrada e stavolta ci immettiamo in una strada secondaria, praticamente in campagna. A questo punto scatta l’allerta, anche perché siamo praticamente persi in mezzo al nulla e abbiamo (o avevamo?) un aereo da prendere. Chiedo a Niels in inglese se la strada è giusta e manca ancora molto. La risposta mi fa sudare freddo: “I have no idea”. Il taxista non sa dove stiamo andando e quanto manchi a destinazione. “My navigator is crazy”. Dà la colpa al navigatore satellitare della macchina. Subito dopo ci infiliamo in una strada sterrata, che non può essere quella giusta. Neils non sa più che pesci pigliare, è in pallone completo. Ferma la macchina. Gli dico di chiedere indicazioni a qualcuno. Ma a chi, in mezzo a una strada deserta? A sinistra vediamo una casetta. Sta uscendo una macchina dal cortile. Dall’auto scende in quel momento la nostra ultima speranza di prendere l’aereo in tempo: un anziano in canottiera, magro e malconcio, con flebo al braccio e macchinetta per l’udito sopra l’orecchio destro. Dopo cinque volte che Niels gli ripete il nome dell’aeroporto lui indica la direzione opposta alla nostra. Ripartiamo a razzo. Dopo venti minuti ancora niente indicazioni sull’autostrada. Chiedo a Niels in tono ormai esasperato se la strada è giusta, lui mi indica il cruscotto e dà una risposta “al di là del bene e del male”: “Forget abot my navigator. There’s a map here. Check it”. Cosa? Sono io il cliente e dovrei dare le indicazioni al taxista? Dall’esasperato passo al risentito, e medito se non sia il caso di farlo scendere e di mettermi io al volante… Per fortuna dopo poco iniziano le indicazioni stradali e arriviamo in aeroporto. Bisogna pagarlo ma… neanche il pos gli funziona! Poi finalmente riesco a pagarlo. Lui mi sorride cordialmente – credo fosse anche divertito della piccola “avventura” – e nel rivolgermi l’ultimo saluto mi confida: “I’m sorry, but you can never trust technology” (“Mi dispiace, ma non puoi mai fidarti della tecnologia”)…
Alcuni link per approfondire:
http://www.hammarbysjostad.se/glashusett/
http://www.stockholmroyalseaport.com/
http://www.ivl.se/english/startpage.4.4a08c3cb1291c3aa80e80001374.html