Il fenomeno è bizzarro, alquanto strano e difficile da interpretare. Ne ha parlato – nel corso dell’evento “Enterprise Content Management Forum” organizzato da MAT Edizioni e The Innovation Group – il professor Giorgio De Michelis, docente di Informatica Teorica e Sistemi Informativi presso l’Università di Milano Bicocca. La crisi, la scarsità di risorse e infrastrutture sembrano aver stimolato una reazione da parte di una quota consistente del mondo imprenditoriale.
Il sistema delle imprese italiane, che sono in genere di dimensioni medio piccole, si afferma sui mercati mondiali per l’efficacia e l’efficienza che caratterizza i risultati conseguiti, creando valore in forme innovatrici e competitive, nonostante si trovi costretto a operare in uno scenario nazionale certamente preda di una forte crisi, oramai endemica, che si traduce in un sostanziale declino del sistema-Paese, in particolare se riferito ai contesti europei e a quelle delle aree emergenti.
Una nuova via
«Alla luce del paradosso italiano, è errato far approdare le PMI a mega-dimensioni, – spiega De Michelis – le imprese italiane reagiscono con caparbietà e continuano ad affermarsi nonostante tutto. Parrebbe quasi che lo stato di crisi e di scarsità, l’incombente indisponibilità di risorse e di infrastrutture, servano a stimolare fortemente una reazione fatta di ottimismo imprenditoriale di tipo quasi primordiale, grazie al quale lanciarsi alla ricerca – come per contrasto – di affermazioni delle singole imprese da conseguirsi a tutti i costi».
Queste azioni imprenditoriali singolarmente concepite, e accompagnate da una forte dose di ottimismo individuale, se vengono poi riguardate in prospettiva esprimono nella loro sintesi comportamenti assimilabili a ciò che sostiene lo stesso Giorgio de Michelis, con Federico Butera, sulla base di una ricerca effettuata dalla Fondazione IRSO, hanno chiamato “L’Italia che compete: The italian way of doing industry”, (Franco Angeli, Milano 2011). Questo volume raccoglie i contributi di analisi e di proposte di uno straordinario brain trust composto da alcuni studiosi che più a fondo hanno studiato le imprese e il sistema produttivo italiano, da alti dirigenti pubblici che curano le politiche di sostegno allo sviluppo, da un pool di imprenditori-innovatori nelle loro imprese e nel loro settore.
Nel libro si ipotizza l’emersione di una Italian Way of Doing Industry , un modello socio-economico e un nuovo modello di impresa, ancora allo stato embrionale ma diverso dai “castelli” industriali, dai distretti, dal “piccolo è bello”: una Italian Way frutto di un vigoroso processo bottom-up basato su imprese, organizzazioni e territori di nuova concezione, nuovi “crocevia territoriali di reti lunghe vitali”.
Tale modello – se svelato, comunicato, discusso – può creare senso di sé, “contagiare” positivamente imprese, organizzazioni e territori, suggerire politiche di sviluppo appropriate. Un modello, però, ancora fragile che richiede interventi di ricerca e comunicazione, servizi reali alle imprese, politiche economiche che oggi sono del tutto insufficienti. Il fenomeno è caratteristico della dimensione medio-piccola delle aziende che è appunto quella tipica del nostro sistema produttivo. Una realtà da non contrastare con l’ossessione di approdare a mega-dimensioni, ma che va invece attentamente studiata e salvaguardata giacché in essa risiedono alcune delle caratteristiche più peculiari del successo: basti ricordare la capacità innovativa e le caratteristiche di flessibilità tipiche di quella dimensione, come è messo molto bene in evidenza nel contributo di Riccardo Varaldo.
«Sono proprio queste piccole e medie imprese a determinare una “Italian way of Doing Industry” basata su nuovi “crocevia territoriali di reti lunghe vitali” – precisa De Michelis – Quelle reti sono la naturale evoluzione dei distretti industriali oggi, travolti da processi di cambiamento radicali, espresse da imprese leader che hanno trasformato il distretto di rigida competenza territoriale in un insieme di aziende che operano con finalità funzionali comuni, dando origine a una sorta di distretti virtuali non più legati al territorio bensì agli specifici apporti funzionali di ciascuna unità operativa, «creando filiere in cui la condivisione di esperienze e di conoscenze travalica la distanza e, alle volte, i confini.»
Potenzialità competitive
Ricordiamo che «ogni media impresa del Nord ha relazioni con circa 244 subfornitori», determinando così di fatto una sorta di distretto virtuale con configurazioni che ricordano il concetto di Macroimpresa. Il modello che emerge da queste situazioni provoca un coacervo di combinazioni ottimali che De Michelis sintetizza in cinque fattori: posizionamento sul mercato, strategie, modelli organizzativi, anima dell’impresa, qualità dell’imprenditore. Nell’insieme si delinea la fisionomia di una «impresa integrata che persegue elevate performance economiche e condotte sociali eticamente integre. All’estero – prosegue De Michelis – queste imprese sanno assumere identità adeguata anche alle più difficili situazioni locali e in ciò indubbiamente è fondamentale l’esperienza italiana, certamente non facile, dalla quale provengono e sulla quale hanno testato il loro DNA».
E De Michelis giustamente afferma: «Il prodotto è insomma arricchito da una componente di servizio che gli dà un valore che va ben al di là della sua pure elevata qualità intrinseca». In questi rapporti un ruolo fondamentale lo gioca l’intelligenza e la capacità innovativa: «per quanto riguarda la tecnologia incorporata nel prodotto e l’ automazione dei processi produttivi, le imprese italiane possono spesso vantare soluzioni uniche che le proteggono dalla concorrenza».
Così fra i fattori di successo emergono l’anima dell’impresa e le indiscusse qualità dell’imprenditore. Sono queste caratteristiche, rese particolarmente efficaci ed efficienti da specifici e innovativi modelli organizzativi, che condizionano le strategie vincenti sui mercati di riferimento, scelti nelle forme più appropriate. Sono queste caratteristiche che sanno imporre il giusto grado di adattabilità ai prodotti imprenditoriali personalizzando le offerte con un elevato grado di flessibilità a fronte delle mutevoli esigenze dei clienti, caratterizzando così una forte competitività tipica dell’anima di ciascuna impresa. «Tutti gli studi e le opinioni degli operatori convergono nel riconoscere all’impresa italiana la capacità di ascoltare e interpretare i bisogni di una clientela globale, produrre prodotti per segmenti molto specifici, e di offrire prodotti e servizi personalizzati. Caratteristiche queste che configurano un nuovo modello socio-economico, un modo italiano e di livello internazionale di fare industria sia nel settore manifatturiero sia nei servizi.»
Un modello che va preservato nella sua autonomia e che, con ogni probabilità, avrebbe le capacità di sviluppare ancora ulteriori potenzialità competitive, ma la prudenza induce forse a non intervenire con artifici che potrebbero limitare tali capacità con risultati reali opposti a quanto si vorrebbe e si desidererebbe fare. Vale la pena seguire l’insegnamento organizzativo secondo cui quando un sistema funziona è salutare non intervenire in alcun modo su di esso perché si rischia di compromettere la situazione.
Forse un discorso particolare potrebbe essere fatto relativamente alle condizioni di scenario ambientale dove una iniezione di grande e persistente cultura potrebbe indurre qualche utile modificazione assai di più di possibili interventi dello Stato italiano. Interventi che letti storicamente sono sempre stati apportatori di effetti non proprio esaltanti. In conclusione, si può affermare che la riflessione di De Michelis è una risorsa culturale per gli studiosi e gli studenti delle organizzazioni e dei sistemi produttivi italiani.