“Giovanni Carosio” è un nome che, di primo acchito, non dice molto alla maggioranza degli italiani mentre, in realtà, dovrebbe dire molto, dato che è uno dei personaggi chiave della Finanza nazionale, essendo Vice Direttore Generale della Banca d’Italia. Nello scorso mese di luglio Carosio fece un intervento “di peso” sul tema del finanziamento alle imprese pubblicando uno studio intitolato “I Confidi e il sostegno alle imprese” nel quale si esamina il ruolo dei consorzi di garanzia collettiva dei fidi, istituzioni che svolgono attività di prestazione di garanzie per agevolare le imprese nell’accesso ai finanziamenti, a breve medio e lungo termine, destinati allo sviluppo delle attività economiche e produttive.
L’intervento di Carosio iniziava rilevando che, nel 2010, i prestiti concessi dalle banche alle imprese erano aumentati dell’1 per cento. La crescita si era rafforzata nella prima parte di quell’anno e, nei dodici mesi terminati a maggio, era stata del 3,4 per cento, un valore nettamente più alto di quello medio europeo. L’evoluzione del credito continuava, tuttavia, a risentire delle incertezze che ancora gravavano sulla ripresa economica e delle diffuse condizioni di fragilità che caratterizzavano i bilanci delle imprese.
Il rapporto proseguiva riportando che “… nel primo trimestre di quest’anno la crescita del prodotto interno lordo è stata dello 0,1 per cento. La dinamica della produzione industriale indica un’accelerazione per il secondo trimestre. L’intensità della ripresa nella seconda parte dell’anno appare più incerta e non consentirebbe ancora un rapido ritorno ai livelli di attività antecedenti la crisi. Come ha di recente ricordato il Governatore nelle Considerazioni finali, dall’avvio della ripresa, nell’estate di due anni fa, l’economia italiana ha recuperato soltanto 2 dei 7 punti percentuali di prodotto persi nella crisi.
I ridotti volumi di attività che ancora caratterizzano fasce estese del settore produttivo si riflettono sulla redditività delle imprese e sulla qualità del credito. Nei primi tre mesi del 2011 le banche e le società finanziarie operanti in Italia hanno continuato a registrare consistenti flussi di nuove sofferenze, pari, al netto dei fattori stagionali e in ragione d’anno, all’1,8 per cento dei prestiti. Il ritorno verso condizioni fisiologiche nei tassi di insolvenza procede lentamente e i crediti alle imprese in difficoltà (esposizioni incagliate e ristrutturate) rimangono elevati, prossimi al 6 per cento dei finanziamenti in essere.
In questa fase di faticoso consolidamento della crescita economica, in cui non sono ancora pienamente superate le difficoltà delle imprese e delle banche, i consorzi di garanzia collettiva dei fidi continuano a svolgere un’importante funzione nel facilitare l’accesso al credito, soprattutto degli operatori economici di minore dimensione”.
In effetti le analisi condotte da Banca d’Italia hanno messo in luce come la mediazione dei Confidi rappresenti uno strumento efficace nel migliorare le condizioni di accesso ai prestiti e nell’aumentare la qualità del credito bancario. In particolare, le imprese associate a consorzi di garanzia ottengono finanziamenti a tassi d’interesse più bassi rispetto a quelle non associate. Mettendo a disposizione degli intermediari le proprie conoscenze sulle prospettive delle imprese associate, i Confidi migliorano la capacità di valutazione del merito di credito; in non pochi casi contribuiscono in misura significativa a facilitare le pratiche istruttorie.
La funzione di raccordo tra intermediari e piccole imprese propria del sistema dei Confidi è stata particolarmente importante durante la severa recessione avviatasi nell’autunno del 2008 e manifestatasi con maggiore intensità nella prima parte del 2009. Durante la crisi l’importanza dei Confidi è cresciuta anche a seguito dei numerosi provvedimenti emanati da amministrazioni pubbliche per favorire l’accesso al credito delle imprese più piccole. Nell’arco di due anni, tra il dicembre del 2008 e lo stesso mese del 2010, il numero di imprese censite dalla Centrale dei rischi garantite da un Confidi è salito di circa 25.000 unità, a poco più di 165.000.
L’aumento dell’attività dei Confidi è stato particolarmente significativo nel 2009: si stima che, nell’anno in cui si sono osservate le maggiori difficoltà di accesso al credito, i prestiti alle imprese con meno di 20 addetti che si sono avvalse della garanzia di un Confidi siano cresciuti del 15 per cento. Nel 2010, con la progressiva normalizzazione del mercato del credito, l’espansione è proseguita a ritmi ancora elevati ma più contenuti, prossimi al 9 per cento. L’intervento dei Confidi è apparso determinante ai fini della concessione stessa dei finanziamenti: per le imprese di analoga dimensione che non hanno beneficiato dell’assistenza di un Confidi, i prestiti si sono ridotti del 2 per cento nel 2009 e sono aumentati meno dell’1 per cento nel 2010.
Il ruolo dei Confidi
Cosa sono i consorzi garanzia fidi? Le risposte che si possono dare, dal profilo della teoria economica, sono sostanzialmente due. Un Confidi può essere visto, con un approccio che si può definire superato – e, da un certo punto di vista, minimalista – come un “gruppo d’acquisto” in cui un certo numero di soggetti, il più numeroso possibile, si riunisce per acquisire maggior forza contrattuale nei confronti di una controparte che fornisce un determinato servizio: il credito. Certo l’acquisizione del credito si contraddistingue per avere delle caratteristiche differenziate in funzione del tipo di cliente che si rivolge per l’acquisto del servizio, quindi concepire il Confidi come gruppo d’acquisto avrebbe un senso logico solo se tutti i soggetti che si rivolgono a questo organismo presentassero delle qualità omogenee e quindi si potesse andare dalla controparte contrattuale presupponendo che essa, conoscendo queste caratteristiche omogenee, possa ragionare non tanto andando a discriminare i singoli clienti, quanto a valutare l’opportunità commerciale di avere di fronte una massa di soggetti anziché singoli individui.
L’approccio opposto, che si fonda sulla teoria dell’intermediazione finanziaria, ossia sulla logica che ci porta a dire perché esistono banche ed assicurazioni, vede nei Confidi una funzione diversa e più delicata: i consorzi avrebbero uno spazio proprio, così come le banche hanno uno spazio solo per il fatto che nel mercato esistono situazioni particolari, definite di asimmetria informativa, cioè di differenza nelle informazioni disponibili fra chi acquista e chi vende il servizio. Quindi, in linea di principio, la presenza dell’asimmetria informativa giustifica l’esistenza degli intermediari finanziari e delle banche in particolare. Ma se ci si fermasse a tale tipo di analisi, la presenza delle banche parrebbe sufficiente dal punto di vista del processo di intermediazione, salvo che per situazioni molto particolari (emblematico il caso delle assicurazioni). Però, partendo da questa ipotesi, si tratta di andare a vedere se vi siano le condizioni economiche perché vi sia convenienza da parte di un intermediario finanziario generale, cioè non specializzato su particolari nicchie di clientela, a porsi nelle condizioni di andare a superare le condizioni di asimmetria informativa. Cioè bisogna chiedersi se una banca abbia interesse a fare un’assunzione di costi per generare dei ricavi, qualora i ricavi sperati possano presentarsi inferiori ai costi che comunque sarebbero sostenuti. In altri termini, nei casi in cui le operazioni riguardino imprese molto contenute, è possibile che le banche non abbiano convenienza a svolgere quella che è la loro tipica funzione di assunzione delle informazioni e valutazione del merito creditizio. In tal caso le banche possono ragionare sostanzialmente in tre modi: non dare credito, perché non è economicamente conveniente fare la valutazione; concedere credito senza effettuare la valutazione del merito creditizio, però ciò comporta problemi d’altro tipo; concedere credito solo attraverso l’assunzione di entità sostitutive della valutazione del merito creditizio; cioè si richiedono garanzie: in pratica alle imprese di dimensioni contenute, che sono capaci di fornire informazioni limitate, non vengono più richieste tali informazioni, evitando in tal modo i costi inerenti la valutazione e la raccolta delle stesse, bensì si richiedono garanzie.
E’ evidente che questo tipo di approccio è una soluzione di ripiego che ha lo scopo di permettere di effettuare delle operazioni che altrimenti non sarebbero attuabili. Se si segue questa linea di ragionamento, allora all’interno del processo di intermediazione finanziaria si apre uno spazio aggredibile dai Confidi: si tratta di verificare se ci sono le condizioni per coprire questa particolare nicchia di clientela, cioè di andare ad assumere informazioni, trattandole in un modo un po’ diverso da come fa generalmente la banca e interfacciarsi poi all’ente creditizio trasferendogli queste informazioni. La banca attraverso l’interfaccia Confidi può dare una valutazione del merito creditizio senza necessariamente operare al buio, perché può traslare la valutazione dal cliente al Confidi stesso. Questo ovviamente si può fare in due modi: o attraverso una limitata capacità di credito riservata al Confidi (ipotesi difficile da pensare in teoria, ma forse più spesso effettivamente realizzata a livello operativo); oppure ciò può avvenire perché i Confidi sono tecnicamente preparati, e quindi, a fronte di dotazioni patrimoniali limitate, hanno una capacità di interagire con i loro soci e di riuscire a fare una preselezione delle proposte di affidamento, portando alle banche solo soci che siano, dal punto di vista dell’accesso al credito, meritevoli. La verifica suddetta deve essere ovviamente calata nel contesto giuridico in cui i Confidi operano. Ma questa è un’altra storia.