Dopo un lungo periodo della storia It dove il Pc ha dominato la scena nell’ambito dei processi di calcolo, si sta ora completando una svolta importante, dove il centro dell’attenzione non è più il dispositivo, ma i dati e la modalità di accesso. Una spinta, fattore insolito in ambito business, dettata dal basso. “Gli utenti non vogliono più poter utilizzare solo il Pc aziendale, ma qualsiasi dispositivo a loro disposizione – spiega Moreno Ciboldi, senior vice president for sales south europe enterprise di Alcatel-Lucent -. Una trasformazione basata su tre pilastri, distribuzione su larga scala di apparati mobili, maggiore consapevolezza sulle potenzialità e grande disponibilità di piattaforme con applicazioni per qualsiasi necessità”. A sancire la svolta, l’avvento del cloud computing, dove al posto del device si sostituisce l’utilizzo che ne viene fatto.
Il contesto dove l’argomento viene dibattuto davanti a rappresentanti di una cinquantina di grandi aziende italiane è il Dynamic Tour 2012, proposto dall’azienda presso la SDA Bocconi di Milano e arricchito proprio da alcuni contributi di docenti dell’ateneo lombardo.
In particolare, al centro dell’attenzione nel contesto del cloud computing, non tanto la discussione tra modalità privata e pubblica, quanto quella inquadrata come la vera chiave per la svolta. “La potenza del mio iPad non è tanto nel dispositivo, quanto nello store, applicazioni di ogni tipo grazie alle quali mi sono creato il mio personal cloud – sottolinea Ciboldi -. Si arriva di conseguenza al Byod, una trasformazione importante dal punto di vista dell’utente ma soprattutto dell’It, con una gestione della banda più strutturata, una copertura wireless estesa, una gestione delicata e gli aspetti legati alla sicurezza”.
Un fenomeno dal quale non sfuggire
Passata nel giro di pochi mesi da spauracchio a opportunità, per le aziende la politica del Bring Your Own Device ha le caratteristiche per rivelarsi sempre più strategica in un futuro già molto vicino. “L’unico segmento It con dati in crescita negli ultimi anni è il mondo consumer – sottolinea Paolo Pasini, professor of information systems management di SDA Bocconi -. Diversi aspetti del Byod possono anche essere solo una moda, ma in generale possono trasformarsi in risorse e gli esempi non mancano. Pensiamo all’email consumer entrata in azienda grazie ai vari tablet Pc e smartphone, oppure ad applicazioni quali Dropbox e Doodle, senza dimenticare i social network con la relativa trasposizione dei relativi linguaggi”.
Più che decidere se affrontare la sfida, la decisione importante che le aziende sono chiamate a prendere è sul come gestire questo nuovo scenario. Tra gli esperti infatti, è opinione sempre più diffusa di come cercare di contrastarlo sia ormai controproducente. “Vedo in atto una contaminazione, con logiche e regole distinte tra business e consumer, piuttosto che una completa fusione – riflette Pasini -. Un sistema It basato solo su app oggi è ancora un’ipotesi fantasiosa, ma il fenomeno va comunque considerato”.
Da non sottovalutare inoltre, il delicato aspetto relativo al cambio generazionale. Le nuove leve infatti, danno praticamente per scontata la possibilità di comunicare a tutto campo utilizzando certi strumenti. Una sorta di forma di lavoro ‘liquido’ che varca i fini aziendali e dove in caso venga contrastato il rischio di perdere giovani talenti è concreto.
Dopo i timori iniziali, il messaggio sembra ora essere maggiormente recepito. “A maggio 2011, il 55% delle aziende non consentiva l’utilizzo di dispositivi personali – spiega Pasini -. Oggi questa quota risulta intorno al 28%, un risultato decisamente interessante”.
Secondo i dati della Bocconi, Tra le aziende più accondiscendenti, Ferrero, BTicino e Sisal con la massima apertura. Luxottica invece consente l’impiego solo di apparati Apple, mentre tra le più restie rientrano Zegna e Atm di Milano.
Dal personal cloud la spinta in più
Anche in presenza delle aziende più lungimiranti, affrontare la questione Boyd da sola potrebbe comunque rivelarsi un errore. La libertà concessa ai dipendenti di scegliere il dispositivo preferito per svolgere le proprie mansioni va inserita in un altro fenomeno, altrettanto innovativo e pieno di potenziali pericoli. “Non è un tema legato solo a un’organizzazione e ai cambiamenti nei processi aziendali – avverte Carlo Alberto Carnevale Maffé, docente di strategia d’impresa ed economia aziendale di SDA Bocconi -. È un invito rivolto a tutto il mercato, di cambiare nella coniugazione con il cloud computing”.
Al centro dell’attenzione, la modalità personale della nuvola, quella che definisce il nuovo ambiente di lavoro. “A differenza del cloud, il Byod è di proprietà, non è solo personale, ma è letteralmente sé stessi – riprende Carnevale Maffé -. Attraverso la Sim, si ha un sistema di autenticazione blindato, uno di fatturazione, una metrica. La rubrica contiene il proprio sistema social e fa di ciascuno il nodo di un’organizzazione”.
Quanto sia profondo il cambiamento, il segnale in arrivo dal Web, passato da Rete di pagine a Rete di persone, dove oggetto del click non sono più i link, ma le icone delle persone. “Non stiamo andando verso il mondo che sta invertendo il rapporto tra browser e app, ci siamo già – ribadisce il docente -. L’app vuol dire arrivare a un’interfaccia personalizzata contestualizzata e l’app senza cloud non può esistere”.
Aprire l’infrastruttura aziendale ai dispositivi personali è quindi di per sé poco utile, se non si è disposti a rivedere l’intera architettura, abbandonando il modello centralizzato in favore di uno spostamento dei dati in periferia. Una svolta che non può essere solo di facciata: “La nuvola non è un’offerta speciale per rottamare i vecchi server – allerta il professore -. La nuvola è un hub di processi economici interoperabili, non deve essere troppo personale, perché altrimenti si riduce a una virtualizzazione remota. Deve invece essere il luogo di incontro tra processi e persone”.
Secondo questo autorevole punto di vista, le aziende italiane non stanno a guardare. Le grandi imprese sono già a buon punto nella trasformazione, mentre per Pmi è ora che inizino a prendere la questione sul serio, senza chiamarsi fuori. “È un modello attraverso il quale ripensare le interazioni con i partner, molto valido in un contesto frammentato come quello italiano”.
L’invito è in sostanza quello a considerare i dati per il cloud alla stregua dei soldi per le banche. Lasciati sotto il materasso, vale a dire nei data center, le informazioni non rendono. Devono invece diventare una sorta di moneta, con ricadute positive sull’economia. “Il primo a popolare questo nuovo strato del cloud deve essere la Pa, seguita dalle aziende – conclude Carnevale Maffé -. Se tutti apportiamo dati condivisibili, inseriamo liquidità informativa dalla quale nascono idee. Il cloud è quindi l’occasione per ripensare il sistema Paese, per un’Italia che parla finalmente di tecnologia, abbatte le barriere, consolida i processi senza escludere nessuno”.
Cosa può fare Alcatel-Lucent per adeguare l’infrastruttura
Sposare la filosofia Byod e allinearsi ai requisiti del cloud computing comporta inevitabilmente ripercussioni sull’infrastruttura It. Una mansione per la quale Alcatel-Lucent si candida a partner privilegiato. “Affrontiamo due aspetti – spiega Moreno Ciboldi, senior vice president for sales south europe enterprise di Alcatel-Lucent -. Il primo di tipo infrastrutturale, con una famiglia dedicata di switch in grado di identificare l’utente e sulla base del profilo, assegnare le aree della rete e le applicazioni che può utilizzare con la relativa banda. Poi, il lato applicazione, con una piattaforma OpenTouch che trasforma il dispositivo in elemento integrante delle attività aziendali, alla pari di telefono e pc”.
Il risultato, è una nuova modalità di lavoro, in linea con le attuali richieste del mercato. “Possiamo trasformare una comunicazione in una conversazione, passando da telefono a videoconferenza con continuità”, sottolinea Ciboldi.