Il tradizionale appuntamento col Symposium It di Gartner, quest’anno è stato ospitato a Barcellona. A quell’evento è apparso chiaro come il contesto economico e finanziario labile in cui ci muoviamo rappresenti un problema in più nella gestione dell’It. Non si tratta solo di investimenti ridimensionati, di piani di sostituzione tecnologica posticipati o di progressivo impoverimento delle competenze in gioco; quando i sistemi entrano in stasi, tutto rallenta; l’incertezza in cui viviamo anestetizza le scelte e sospende temporaneamente i sensi. Tutti fenomeni che influenzano profondamente anche le tecnologie, suscitando però reazioni diverse in funzione del segmento business o consumer. Gartner ha coniato il concetto dell’approccio post moderno al business, in cui la centralità del cliente assume connotati più maturi, resi possibile oggi dall’uso estensivo di social media e applicazioni sempre più facili da utilizzare.
Essere una social organization, ha osservato Gartner a Barcellona, non significa sperimentare tool di social media come Facebook o Twitter; significa piuttosto imparare a utilizzare i contributi che emergono dall’uso consapevole delle grandi piattaforme per i social media. È la collaborazione di massa che, l’esperienza di questi anni comincia a dimostralo con chiarezza, va ben oltre i tradizionali perimetri aziendali e coinvolge sempre più spesso dipendenti, clienti, fornitori, azionisti, tutti (almeno in teoria) impegnati direttamente a generare valore. L’anello debole resta la trasformazione delle opportunità offerte dalla collaborazione in concreti risultati di business. Gartner ha sintetizzato le azioni chiave in un set di scelte, che si riassumono in sei fasi; innanzitutto la vision, la necessità cioè di immaginare e descrivere il progresso atteso in un contesto collaborativi, seguita dalla strategia che permette di trasformare la collaborazione da attività sporadica e a rischio ad attività sinergica dei processi di business, misurabile come tutte le altre attività. Poi l’informazione, per rendere partecipi le persone coinvolte; non basta più fornire loro la tecnologia necessaria, è fondamentale informare e motivare. Conclusa questa prima, articolata fase si entra in ciò che potremmo definire la “produzione”: costruire cioè un ambiente collaborativo, convincendo a partecipare tanto i clienti che i dipendenti; monitorare e partecipare alla vita delle community, infine rispondere creativamente alle sollecitazioni che emergono, modificando il contesto organizzativo per meglio supportare la collaborazione tra comunità.
La visione post moderna dell’azienda customer centric si traduce così in un modello più orientato alla community, passando dalla fruizione individuale della tecnologia, tipica degli anni ruggenti della consumerization, alla fruizione “collaborativa e comunitaria” degli anni dei social media.Governare i processi in epoca di post modernismo
Ma com’è possibile governare i processi in un contesto così mutevole? Utilizzando strumenti di Bpm e assegnando alle metriche un ruolo chiave. Gartner definisce da tempo il Business Process Management (Bpm) come un processo che lega la strategia di business allo sviluppo dei sistemi It aziendali per assicurare il valore del business. Dal punto di vista della cultura aziendale, il Business Process Management è il governo di tutti i processi a sostegno di un evento, attraverso l’applicazione di politiche e regole che sostengono l’organizzazione definita dal modello di business. Il Bpm combina diverse viste del processo; coinvolge i workflow, le funzionalità, l’organizzazione, i dati e le informazioni; a ogni vista associa metriche specifiche. Condizione necessaria ma non sufficiente perché esista il Bpm è la presenza di tool specifici in azienda, che ne permettano il governo; il Business Process Management si concretizza attraverso un’infrastruttura tecnologica per mappare e monitorare i processi. Come ho avuto occasione di scrivere in altre occasioni, il Bpm ha una natura pervasiva; è una sorta di tessuto connettivo; in quanto revisione continua di processo si alimenta di dati, di osservazioni, di correlazioni; ha bisogno di una cultura aziendale che, pur nella specificità dei differenti domini funzionali, sappia unire piuttosto che dividere. Entriamo così nel cuore del Bpm. Come ha affermato l’analista Gartner John Dixon a Barcellona a inizio novembre, “Bpm without metrics is just a shot in the dark”; senza metriche, senza sistemi di misura il Bpm è cieco; non può orientare, non può dare risposte perché non dispone dei dati necessari. Il Bpm (inteso tanto come Business Process Management che come Business Performance Management) non è un progetto, con un inizio e una fine; è una revisione continua, condotta spesso con metodologia iterativa, supportata dall’It, destinata a promuovere collaborazione e consenso. E’ una metodologia strutturata ma non rigida, che si costruisce sull’allineamento strategico da cui dipendono l’individuazione delle priorità organizzative connesse ai processi aziendali e le scelte di cultura e leadership, necessarie per modellare le attività e i comportamenti aziendali.